*L.-F. Céline, Voyage au bout de la nuit, Paris, Denoël et Steele, 1932 - Viaggio al termine della notte (traduzione italiana di E. Ferrero), Milano, Corbaccio, 2011 - per rendersi conto del potere della parola quando si fa scrittura e respiro palpitante in una finzione che che è un affresco grandioso dell'inizio di un secolo atroce. Tutto il contrario delle tante narrazioni ipertrofiche dell'io contemporaneo, scritte con l'occhio attaccato al buco della serratura.
*A. Camus, L'étranger, Paris, Gallimard, 1942 – Lo straniero (traduzione italiana di A. Zevi), Milano, Bompiani, 2013, per smettere di fare la morale agli altri, sentendosi immacolati, e anche per capire tutta la distanza morale che separa una narrazione ipocrita da una narrazione autentica, che corre sul filo dell'indicibile.
*G. Perec, W, ou le souvenir d'enfance, Paris, Denoël, 1975 - W o il ricordo d'infanzia (traduzione italiana di H. Cinoc), Torino, Einaudi, 2005 - per rendersi conto che l'autofiction ha origini nobili, che come spesso succede, sono state spesso dilapidate dagli eredi, quelli che hanno smarrito l'originalità del modello iniziale e della sua scrittura. E questo è successo quando i professori si son fatti scrittori e hanno imposto un genere.
Immagine: F. Bacon, Figure writing reflected in mirror, 1976