Si parla di libri, si chiamano attorno al tavolo dei relatori i Grandi Autori del passato, ci si cita a vicenda, ci si critica, tanto e con slancio, ci si ricopre di fiori.
Soprattutto, ci si ricopre di fiori: a tutte le ore, in tutti i salotti buoni della letteratura, piovono fiori; ci sono luoghi in cui esiste la stagione delle piogge, e piove acqua, e ci sono altri luoghi in cui esiste la stagione dei premi letterari, e piovono fiori.
A pensarci un po' su, però, mi rendo conto che la stagione dei premi letterari, in realtà, non è circoscritta, non ci sono equinozi né solstizi, ma si dilata a tutto l'anno, e non soltanto in Italia, o in Francia: in ogni momento, si organizzano festival che sono vere e proprie maratone culturali, per scrittori e lettori, manifestazioni a tema, convegni che si spostano fuori dall'accademia. E poi aperitivi letterari, incontri con gli autori, interviste televisive, e molto altro ancora.
I narratori del ventunesimo secolo, sotto i riflettori, rispondono alle nostre domande, spiegano le loro storie – a volte le spiegano troppo –, si mettono in discussione, ci rivelano, in anteprima, la trama dei loro lavori in fase di scrittura e noi li critichiamo, e loro sono lì, pronti a correggere il tiro, ad ascoltarci, ad assecondarci. Altri, invece, si divertono a dare risposte impertinenti, o giocano a "vince chi non risponde", facendo rumore sulle pagine scritte e sugli schermi.
La stagione della letteratura, a guardarla bene, sembra risentire degli stessi scompensi climatici del pianeta Terra, ed è diventata una lunga stagione liquida, senza limiti netti, in cui la produzione editoriale è sempre protagonista.
Questo sembra non piacere ad alcuni "puristi della letteratura". Alcuni di loro sono pronti a lamentarsi della sovraesposizione, dell'eccesso di letteratura, della smodata pubblicazione di libri (si chiedono, mesti, "chi ormai non pubblica più un romanzo?), di una mediatizzazione senza limiti del mondo intellettuale. Molti di loro non apprezzano questa nuova onnipresenza dei libri, temono che possa danneggiare, in qualche modo, la qualità della scrittura, la raffinatezza della narrazione, la solitudine aristocratica della lettura. Perché – dicono – la letteratura non può essere per tutti: la letteratura è per noi soltanto.
Ora, ci stavo pensando un po' su, e devo ammettere di non essere d'accordo in qualche punto con gli insoddisfatti del meteo letterario, che, in fondo, non sono così diversi da quelli che rimpiangono banalmente i tempi in cui ancora c'erano le mezze stagioni (chissà in quale era geologica, poi).
Le ragioni della mia perplessità, in sintesi, sono almeno due:
1. La qualità e la quantità. Che rapporto hanno la qualità e quantità della letteratura con l'eccesso di festival letterari? Esistono – credo siano sempre esistite – la letteratura e la non-letteratura. Voglio dire che il valore di un testo, di qualunque testo, c'è oppure non c'è affatto, e sono gli addetti ai lavori, i critici letterari a discuterne e a spiegarcene i motivi. Esiste poi una terza categoria, quella che chiamerò, genericamente, narrativa, che comprende quei testi che, pur non presentando aspetti di letterarietà, sono costruiti con un'architettura diegetica avvincente, raccontano storie che possono coinvolgere il lettore e fargli compagnia, anche se con una scrittura senza molto carattere, e che, forse, non resisterà al tempo.
Poi, se i libri sono troppi, in fin dei conti, e in un certo senso, meglio così: si può scegliere, possibilmente senza lamentarsi.
2. La funzione. Sarà anche vero che i festival letterari mediatizzano troppo, saranno anche fondate alcune delle polemiche sulla sovraesposizione. Quello che mi chiedo è: cosa cambia?
Tutto questo parlare di libri – perché di libri si parla: se è letteratura, dicevo, lasciamolo dire ai critici – forse, ha almeno un aspetto positivo: avvicinare la gente alla lettura. Non importa di quali testi: ci sono sempre state e continueranno ad esserci persone che leggeranno romanzi sentimentali di scarso valore letterario, ragazzini che si appassioneranno a storie di avventura scritte in fretta e gente che non vedrà l'ora di tornare a casa per riprendere il filo di quel giallo acquistato al supermercato, lasciato in sospeso. Saranno testi letterari? È un altro discorso.
La sola cosa che sappiamo è che questa sovrabbondanza di "spazi letterari", alla fine, ci porta verso i libri e ci insegna che la realtà non è solo quella che noi viviamo. La realtà può essere anche filtrata dalla finzione, può sdoppiarsi, può moltiplicarsi e dividersi in tante realtà sovrapposte, grazie alla finzione narrativa.
Poi, se questa finzione narrativa è anche Letteratura, tanto meglio. Se non lo è, pazienza. Vuol dire che quelle persone che leggono non-letteratura avranno ancora un mondo infinito da scoprire. La letteratura è là, che attende, ed è paziente: quante volte un testo ha dovuto aspettare decenni, prima di essere definito letterario?