Il luogo, un ristorante giapponese neofusion, nella parte alta del terzo arrondissement; l'ora, mezzogiorno e trenta. All'interno del ristorante, arredato con sobria eleganza, una clientela trenta-quaranta, branché, fatta di residenti. Al tavolo accanto s'installano i tre protagonisti, due giovani donne, entrambe vestite con disinvoltura di quello che sembra tirato fuori dal guardaroba a caso, segnale sicuro di una loro superiorità sulla gente che si ostina a cercare una qualche coerenza nell'assemblaggio dei panni che indossa. La moda femminile, oggi, da queste parti è al caos. L'uomo, invece, indossa l'uniforme dell'intellettuale rigoroso e coerente: giacca nera, t-shirt nera, pantaloni slim neri, scarpe nere a punta allungata, che ti chiedi come faccia a non inciampare ad ogni passo. Delle due donne, una arrotola i capelli dietro la nuca e li tiene fermi con una matita ben temperata, l'altra ha i capelli spiritati di chi li ha asciugati in una centrifuga.
Mangiano pollo all'Okinawa accompagnato da un cuore di riso e bacche rosse. Usano le bacchette con perizia, quasi fossero reduci da vent'anni trascorsi a Hokkaido. Probabilmente, hanno visitato Tokio e il resto del Paese l'hanno conosciuto su internet nei tempi morti sui trasporti parigini (dalla saccoccia quadrata in tela nera dell'uomo a lutto si affaccia lo spigolo di un ipad). L'abilità con le bacchette deve essere, dunque, stata acquisita in anni di dure esercitazioni domestiche, ma – come è noto a tutti qui - le bacchette sono un must del codice etico del parisien certificato.
Parlano di viaggi e la conversazione è tutta rimemorazione di luoghi del pianeta che hanno ricevuto l'onore di meritare una visita dei nostri tre amabili protagonisti. L'ultima incursione è stata a New York, che è una città banale, sopravalutata, che cerca di imitare Parigi senza riuscirci. Del resto, pare dal loro discorso, quando questo sfiora la sfera politica, che Obama abbia dovuto accogliere la richiesta dei francesi (cui si sono accodati, come al solito, a loro dire, i tedeschi) di moderare le intercettazioni telefoniche.
Cambiando argomento, le donna dalla matita tra i capelli, quella col maglione marrone di lana grossa, racconta con voce chiara, ma non troppo elevata, ma sufficiente per garantire un minimo di formazione agli avventori fortunati del ristorante nippo-parigino, dell'ultimo romanzo che ha letto, sai, quello di cui hanno scritto su Libé, ma fai attenzione, ne hanno parlato anche sul Monde la settimana scorsa. Sostiene con accanimento, quasi che gli altri suoi commensali le si opponessero, che è il migliore romanzo che ha letto questo mese (capite ? lei ne legge diversi ogni trenta giorni).E insiste : è un romanzo che parla di un problema grave, come la lotta dell'uomo contro lo sviluppo delle piante carnivore in zona urbana (cioè nei monolocali dei centri urbani più evoluti, perifrasi ancora una volta per nominare, con discrezione, Parigi). Occorreva che qualcuno trattasse in un romanzo il ruolo delle piante carnivore, perché queste sono una metafora del potere che divora le nostre vite e ci fagogita come insetti. Dovete proprio leggerlo, è super. No, non più quelle storie caramellose dei romanzi dove capisci subito come va a finire. Storie stupide, con una scrittura piatta e tradizionale. Qui, invece ti perdi nel labirinto delle parole (che neppure Arianna ti può salvare, penso tra me e me). In questo romanzo, non c'è narrazione, ma un testo che nega l'io e la sua umana presunzione, un io obeso, incapace di uno sviluppo durevole (che vuol dire?) . Sai, l'autrice è una giovane scrittrice che ti fa entrare nelle pieghe della sua mente, un'emozione indicibile. Ti senti liberato. La scrittrice, poveretta, ha tanto sofferto per il successo del suo romanzo, non l'aveva certo cercato né voluto, ma che ci vuoi fare ? Nelle sue pagine non c'è paesaggio, ma da alcuni elementi simbolici si capisce che gli avvenimenti – quelli adombrati, per carità, che volgarità la narrazione ! – si svolgono vicino Parigi (ci mancherebbe), in banlieue. A proposito di banlieue, credetemi (è lei che continua a parlare, ormai senza più respirare, e si rivolge ai suoi due convitati), sabato, all'uscita dal cinéma d'essai, nel quinto (quinto arrondissement, credo di capire), dove ero andata a vedere un film ricostruito, di un grande regista di cui non hanno rintracciato il nome, ho trovato la fiancata della mia auto tutta tagata, sapete con quei loro geroglifici delle cité. Sono i giovani che il sabato sera vengano dalle periferie e devono scaricare la rabbia dell'emarginazione, del ghetto. Intanto, il carrozziere per la fiancata mi ha annunciato il danno. Che botta ! La violenza dei giovani, pero', è frutto di questa società, cosa vogliamo ? Oh, si è fatto tardi, dobbiamo andare. Buono questo pollo all'Okinawa !
vendredi, 01 novembre 2013 09:33
Una conversazione letteraria a Parigi Featured
Written by Super Userdi Matteo Majorano
Una vicenda questa toute parisienne, dove non si sa dove inizia e finisce la fiction e dove la realtà oltrepassa l'immaginazione.
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