L'ha intitolato La nostalgie heureuse, per mettere l'accento su una sfumatura sentimentale quasi sconosciuta agli occidentali, e invece molto cara al popolo giapponese, che, quando era bambina, l'ha accolta: la gioia della nostalgia. Perché ripensare ai luoghi e alle persone della sua prima infanzia, per la narratrice, vuol dire rappresentare l'amore, ricostruire tutto ciò che di buono quel tempo le ha dato. Il ricordo della dolcezza del passato, quindi, assume il ruolo di un motore vitale, prima, e narrativo, in un secondo momento, e cioè capace di diventare detonatore per nuove storie, per nuove vite di carta.
Non è un caso, infatti, che la Nothomb abbia scritto diverse volte del Giappone, tracciando una topografia immaginaria delle sue strade e inventando personaggi adatti a percorrere quelle strade; con quest'ultimo testo, invece, l'autrice riporta in vita i volti di chi davvero la circondava – la sua balia, il suo primo amore – e i luoghi che, bambina, facevano da sfondo alla sua vita quotidiana.
Sarà forse per questo che la scrittura de La nostalgie heureuse è meno immaginativa, meno tesa allo sforzo lirico e più mirata alla descrizione puntuale, ricca di dettagli che creano un mondo realistico, che pare più la trasposizione di qualcosa di esistente che la creazione di qualcosa che si vorrebbe far esistere.
Con La nostalgie heureuse, la Nothomb consegna al lettore un romanzo inatteso, privo di fioriture estetiche e mirato alla narrazione di una storia lineare, in cui la successione delle singole scene romanzesche diventa più importante della visione d'insieme.
Amélie Nothomb, La nostalgie heureuse, Paris, Albin Michel, 2013
Foto © Marianne Rosenstiehl