Il soliloquio del cavolfiore o della trota alle mandorle, le evocazioni dei movimenti sillabici sono solo alcuni dei segni delle nuove proporzioni che il romanzesco alla Chevillard è capace di stabilire, romanzo dopo romanzo. Rimuovendo la logica comune e sviluppando analogie per contrasto, l'inedito si fa strada. Il testo – sempre nella sua unicità – si autogenera e fa propria l'argomentazione scettica per destabilizzare ed inventare.
Cosa resta, allora, al critico se l'opera stessa gioca con le categorie critiche per costruirsi? Ritrovare la gioia del lettore, liberandosi della disperata ricerca del senso per proiettarsi piuttosto nelle varie interpretazioni possibili suggerite ed esplorate dal testo. Il critico diventa così figura da fiction come l'autore e tutti gli altri personaggi, senza i vincoli della mimesis e delle trappole ontologiche.
I quattro contributi di Bruno Blanckeman, Tiphaine Samoyault, Dominique Viart e Pierre Bayard rendono omaggio ad un autore da tempo al centro di particolari interessi scientifici, ma interrogano soprattutto la funzione del critico rispetto ad un'opera che fa della singolarità un suo tratto identificativo e che sfida continuamente ogni ipotesi di ricostruzione dell'immaginario autoriale dall'esterno.
Pour Chevillard immunizza, perciò, i romanzi dalla reazione critica e innesta nuovi reagenti per stimolare la ridefinizione dell'identità proprio della critica.
Bruno Blanckeman, Tiphaine Samoyault, Dominique Viart, Pierre Bayard, Pour Éric Chevillard, Paris, Minuit, 2014.
FOTO: © Jean-Luc Bertini / Opale