cui non ci si può sottrarre e il ritmo esterno che ordina gli spostamenti degli uomini. È in quegli spazi di apparente inazione, in quegli interstizi trascurabili che prende vita la scrittura di Alice Munro, nella raccolta di racconti Troppa felicità (traduzione italiana pubblicata da Einaudi nel 2011). Un titolo, quello scelto per questi testi, che sembra voler annunciare il paradosso dell'eccesso, quel residuo di vita che l'autrice sa trasformare in pretesto narrativo e sa dilatare lentamente, generando una micro-tensione espansiva, che accompagna la lettura delle sue pagine.
I personaggi della Munro, così come i luoghi scelti, possono apparire in primo luogo neutri e sembrano non avere forti connotazioni identitarie. D'altra parte è forse per questo che diventano paradigmatici al punto che le loro vicissitudini appaiono come esempi di situazioni che, riprodotte all'infinito, potrebbero generare risultati sempre diversi, senza particolare incidenza sul mondo, eppure capaci di creare un'increspatura decisiva e, a volte, irrimediabile, nelle vicende immaginate dall'autrice.
Dietro una patina di calma e di neutralità sentimentale, Alice Munro costruisce una rete di vite, e nasconde, nella storia che precede il tempo della narrazione di ognuno dei suoi personaggi, una serie smisurata di ramificazioni verso il passato. Il risultato è un presente liscio, poco accidentato, raccontato con tono sommesso, quasi che non ci fossero avvenimenti che meritino di essere scritti, ma che risulta essere il punto di arrivo precario di un lungo percorso che non si è ancora esaurito. Sullo sfondo, alle spalle dei protagonisti, si intravvedono infanzie segnate dalla violenza, giorni segnati da omicidi, matrimoni la cui stabilità era stata prevista frettolosamente e sentimenti inopportuni, in contrasto con la natura stessa di chi li prova.
La scrittura della Munro, lenta e priva di forti slanci emotivi, ricrea l'equilibrio silenzioso della precarietà del presente e immerge i suoi personaggi in un tempo che pare essere quello delle svolte determinanti, dei cambiamenti che arrivano silenziosi, senza farsi annunciare e senza permettere di prepararsi. Anche quando la narrazione si rivolge al passato, anche quando il racconto riferisce vicende concluse, e, in parte, dimenticate, l'effetto è quello di una costruzione in corso d'opera, di una direzione che si sta determinando sotto gli occhi del lettore. In fondo, non ha importanza il luogo cui queste rotte conducono; ciò che conta è la capacità di vedere, senza sprecarlo, ciò che sta nell'eccesso, ciò che potrebbe diventare troppo e che, invece, la letteratura trasforma in una storia nuova.
Alice Munro, Too much happiness, Toronto, Douglas Gibson Books, 2009
Troppa felicità, traduzione italiana di Susanna Basso, Torino, Einaudi, 2011