L'intelligenza artificiale ha "democratizzato" l'intelligenza, ha sopperito alla limitatezza di memoria dell'individuo comune, l'ha ampliata e l'ha estesa oltre ogni sua personale capacità, andando al di là del limite umano. L'intelligenza numerica ha consentito ad ognuno conoscenze in tempo reale, rivalutando la durata delle unità minime di tempo, ponendo in contatto istantaneo le persone, in forme immateriali ma visibili. L'intelligenza informatica, infatti, connette dati e persone in maniera immediata e in misura esponenziale. Tuttavia - e per fortuna, viene da dire -, questa intelligenza artificiale "non pensa", agglutina solo dati omogenei e "non riconosce" quelli dissimili o collocati in spazi separati: non è una intelligenza plastica, adattabile, capace di ricavare un ordine imprevedibile dal disordine costitutivo del creato. Questa intelligenza immobile, con l'aiuto di un relativismo accanito, ha permesso di ridurre l'apprezzamento del valore dell'intelligenza dinamica, dell'intelligenza vivente, quella individuale. Chiunque, con il proprio tablet sotto braccio e l'arroganza di un'opinione, cioè di una formula poggiata su luoghi comuni, poi cucinati in salsa di sfrontata soggettività, ritiene di aver titolo a proporre l'ovvio come pensiero legittimo, pensiero solido, quando, al contrario, si tratta di una ripetizione logora e assai dubbia, ma condivisa in nome della semplificazione e, dunque, consensuale. L'opinione di una maggioranza pigra viene smerciata quasi sempre per una verità accertata.
L'intelligenza viva e autonoma, quella umana, dimostra, invece, troppe carenze gravi: meno veloce, con meno capacità di immagazzinamento dei dati rispetto a quella di un processore, spesso scollegata da una rete "pensante" (quando è "connessa", purtroppo, frequenti sono i cortocircuiti), conserva un suo primato soprattutto nel trattamento di elementi disomogenei, nell'uso dell'occasione fortuita, non classificata, nella distorsione dei percorsi normativi alla ricerca di una linea retta. Questa forma di intelligenza neuronale ha lo stesso difetto congenito della Natura, che esiste senza pensarsi, e dunque si rivela iniqua, inconsapevole, spesso distribuita a caso, in modo parsimonioso e "ingiusto" tra gli umani. L'intelligenza rivela, nella sua distribuzione diseguale all'interno di una moltitudine indistinta, un carattere del tutto irrazionale Quando questa intelligenza acrobatica esiste, la si può plasmare, favorire, migliorare, accrescere, ma il suo potenziamento è relativamente di modesto rilievo rispetto alla sua forma originaria: è progressiva con moderazione. Resta un dato di fatto crudele: l'intelligenza è come la montagna e non può spiegare alla collina la distanza che le separa.
Infine, qualche considerazione disarmante: l'intelligenza è di sicuro nociva e fortemente sconsigliata. Fa capir presto come gira il mondo, sotto qualunque cielo. Ha una sua intrinseca ingenuità di fronte alla vita pratica quotidiana. Perde con regolarità buona parte delle partite giocate contro la furbizia, la grande arte collettiva nella norma quotidiana, questa sì geneticamente democratica. La furbizia è qualità federativa e quando avverte la presenza di una intelligenza, stende intorno ad essa un cordone sanitario per renderla invisibile e, possibilmente, inattiva. Così l'intelligenza indietreggia, si scopre come difetto e si separa dal mondo, trova rifugio nella solitudine, anche perché le intelligenze, quando si incontrano tra di loro, abituate al deserto, difficilmente dialogano e fanno rete.
Il rimedio, in caso di grave e incontinente intelligenza, sembra uno solo: farsi furbi e nascondersi tra la folla. Dunque, se siete intelligenti davvero, lasciate perdere l'intelligenza.
Fingetevi furbi.