e leggera, la mutevole vivacità del suo fondatore, Jack Lang, e l'intelligenza machiavellica del suo Principe, François Mitterand , che prima di ogni altro aveva capito l'uso politico che se ne poteva fare, il consenso intellettuale che si poteva drenare da questo « evento ».
Erano stati anni in cui il dibattito era stato intenso e reale. Erano stati appuntamenti la cui dimensione culturale era chiara e coniugava bene la presenza di professionisti del mondo del libro e con quella del pubblico dei lettori.
Col tempo, il germe politico dell'appuntamento parigino ha preso il sopravvento, scrivendo qualche pagina coraggiosa, come l'invito a Salman Rushdie nel 1995, ma altre assai grige e poco culturali (dall'invito negato a Gao Xingjian, premio Nobel per la letteratura e dissidente storico, a seguito delle pressioni della Cina, Paese invitato d'onore nel 2004, al boicottaggio di alcuni Paesi arabi? Marocco, Algeria, Tunisia, Libano, Arabia Saudita - contro Israele, Paese invitato, e, di fatto, contro gli scrittori israeliani, con relativo allarme-bomba ed evacuazione del Salon, nel 2008). Nel 2005 giunge la svolta, con l'accesso gratuito per gli studenti, di ogni odine e grado, e si consuma così, il passaggio al « grand public ». Tutto diventa cifra e numero di ingressi, cioè consenso di presenze.
Il risultato di queste politiche, applicate al Salon di Parigi, è quello che si ha sotto gli occhi oggi : sciami di scolaresche, dai 6 ai 18 anni, che errano, crêpe alla nutella e gaufre allo zucchero alla mano, precariamente inquadrati da docenti accompagnatori esausti. Bambinetti e adolescenti raposi a tutto si interessano tranne che ai libri esposti, agli editori, locali, regionali, nazionali che siano. Si organizzano spettacoli di intrattenimento con clown, per i « lettori di domani », che per intanto, si affollano solo agli stand dei manga. Quando passano in gruppo il visitatore viene investito da un'onda che lo travolge e lo trasporta, abbandonandolo stordito accanto ad uno stand di artigianato giapponese, o a quello delle edizioni dell'Armée de terre.
A parte i « lettori del domani », i dibattiti languono, gli intervistatori chiedono agli scrittori solo di testimoniare, e soprattutto di non parlare di scrittura, sono cose che annoiano, al massimo qualche riferimento alla politica e alle elezioni comunali di domenica. Gli scrittori poi si rifaranno durante le sedute riservate a firmare dediche a perfetti sconosciuti queruli.
Era un Salon che voleva far concorrenza a quello di Londra, se non a quello di Francoforte. Meglio lasciar perdere. Non c'è altro da dire.
Il Salon du livre di Parigi ha più di quarant'anni e li dimostra tutti. Avevo cominciato a frequentare il Salon negli anni Novanta, e la manifestazione esprimeva ancora la curiosità brillante
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